“Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale...”
Si tratta di espressioni decisamente solenni (per lo meno nel linguaggio) e apparentemente un po’ lontane da noi, ma, se si presta attenzione, molto meno distanti di quanto si pensi: basta accorgersi che la “carità” e il suo sinonimo “amore”, possono tradursi o declinarsi nell’“attenzione agli altri” che, a sua volta, si può concretizzare oltre che in mille altre modalità anche in quella, pure estremamente variegata, del volontariato.
A sua volta anche la “verità” può esprimersi nell’autenticità. Magari il sentimentalismo, di cui sopra si parla, può apparirci qualcosa di lontano dal nostro vivere quotidiano, ma, a volte, l’eccessiva o esclusiva attenzione “a quello che ci sentiamo dentro” – il Papa parla di “emotivismo” – diventa la regola del vivere e dell’agire e quindi l’ostacolo più grande alla convivenza e al dialogo: quante persone vedono “ostacoli”, “avversari” o “nemici” dappertutto e, in realtà, le difficoltà se le portano dentro di loro: siamo nell’epoca delle comunicazioni sempre più facili e, molto spesso, viviamo la sofferenza dell’incomunicabilità, incolpando questo o quello, perdendo di vista l’autenticità delle situazioni, recuperabile attraverso la sincerità del dialogo.
Ci fermiamo qui, anche se il discorso potrebbe farsi molto lungo e articolato, ma non è lo scopo di queste righe, che potrebbero anche solo servire a far nascere in qualcuno la voglia di andare a leggersi tutto il documento di Benedetto XVI.
“Siamo andati un po’ troppo nel complicato e nel difficile”, si potrebbe pensare: me ne scuso; trovo però divertente che venga in mente un’enciclica guardando delle persone che, in un fine settimana dei primi di dicembre, invece che dedicarsi ai propri impegni o ai propri comodi, si mettono ad armeggiare sopra la testa di chi transita in via Libertà per attaccare le luminarie natalizie: non è deformazione professionale pretesca ma la convinzione che verità e carità o attenzione agli altri e autenticità che dir si voglia, o passano attraverso la concretezza di chi vede un servizio da fare alla comunità e, senza tante storie, – e senza guadagnarci personalmente nulla! – si rende disponibile o sono, al massimo... una bella favola di Natale (quello sdolcinato, però!)... Grazie, ragazzi! E auguri davvero!
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