sabato 5 dicembre 2009

Terremoto

I terremoti (dal latino terrae motus), detti anche sismi o scosse telluriche (dal latino Tellus, la dea romana della Terra), sono movimenti improvvisi e rapidi della crosta terrestre provocati dalla liberazione di energia in un punto interno, detto ipocentro; di qui, una serie di onde elastiche, dette onde sismiche, si propagano in tutte le direzioni, anche all'interno della Terra stessa. Il luogo in corrispondenza della superficie terrestre posto sulla verticale dell'ipocentro si chiama epicentro ed è generalmente quello più interessato dal fenomeno. Fin qui la nozione tecnico-scientifica di quello che vuol dire terremoto; ma per i volontari che come me hanno partecipato ai soccorsi delle popolazioni colpite dal sisma in Abruzzo, terremoto vuol dire molto di più che un evento naturale della nostra terra. Continua...
Per me terremoto è stato soprattutto un insieme di lavoro organizzativo, emozioni, tempo sottratto al lavoro personale e alla mia famiglia, gratificazioni, nuove amicizie... in poche parole una forte esperienza della mia vita di volontario e di uomo.
Tecnicamente tutto avvenne alle 3.32 di quel maledetto 6 aprile, ma l'inizio del mio “terremoto” lo devo considerare verso il mezzogiorno dello stesso giorno, quando sono stato convocato nell'ufficio provinciale di Protezione Civile per valutare la situazione ed eventualmente coordinare il volontariato. La situazione è apparsa subito grave e, in accordo con Regione Lombardia, si è deciso di mandare un primo gruppo di volontari dal'11 al 19 aprile.
L'arrivo a “Monticchio 1”, campo sfollati di Regione Lombardia a cui eravamo stati destinati, è avvenuto dopo una notte insonne di viaggio verso quella terra, ma ciononostante la voglia di fare era per tutti così grande da mettersi subito al servizio di chi ci coordinava e al lavoro per completare il campo che, a pochissimi giorni dal sisma, devo dire che mi sembrava già efficientissimo.
L'incontro con la gente è stato umanamente toccante e psicologicamente devastante; continuavo a ripetermi: “ma questi in 30 secondi hanno perso tutto... tutto...”, e sinceramente, a differenza delle nostre emergenze sul Po, tutto mi sembrava impossibile.
Per questo e per lo spirito che ci anima ci siamo messi a disposizione senza mai sosta per cercare di dare conforto e una parvenza di normalità a questa gente: dai turni di controllo in carraia ai servizi ai bagni e a quelli al magazzino per smistare gli aiuti, dai turni notturni di sorveglianza alla preparazione delle tende che man mano arrivavano... Ma nella mia testa c'era, ridondante, questa parola: “Nulla. Dopo 30 secondi... nulla”.
Dopo una settimana siamo tornati stanchi ma consapevoli che molto c'era ancora da fare, e infatti i volontari della provincia di Cremona sono scesi altre 7 volte in Abruzzo per altrettante spedizioni, spedizioni delle quali 4 sono state da me seguite.
Dopo un turno di pausa sono stato rimandato in quella terra con 30 volontari, con il compito gravoso – ma di grande soddisfazione – di essere Capo Campo a “Monticchio 2”, un campo satellite di “Monticchio 1”. Il campo conteneva oltre 300 sfollati della frazione Monticchio de L'Aquila. Nel campo sono stati messi a disposizione della nostra Associazione materiali e mezzi che in questi anni sono stati acquistati con il lavoro dei volontari e con i contributi ricevuti da chi ci sostiene.
Questa è stata, per noi come per gli volontari cremonesi intervenuti, la nostra casa, il nostro campo, la nostra gente. Il mio compito, per rendere meglio l'idea, era paragonabile a quello di un sindaco di un piccolo paese, che ha il dovere di risolvere i bisogni degli ospiti, organizzare la macchina dei soccorsi, coordinare gli approvvigionamenti e gli aiuti, ma anche essere punto di riferimento per loro che vedevano in te un persona che poteva fornirgli tante risposte alla loro aspettativa di vivere e superare al meglio quei momenti e, soprattutto, di avere presto di nuovo un casa dove abitare.
Grazie ai bravissimi volontari che mi hanno seguito nei vari turni, volenterosi, disponibili e laboriosi, queste attività sono risultate sicuramente più agevoli ma, credetemi, il mio impegno era di 24 ore su 24. I rapporti umani instaurati in questi momenti sono un patrimonio emozionale che mi porterò per il resto della mia vita, consapevole che ho dovuto operare con persone che in 30 secondi non hanno avuto più nulla: nulla di materiale, nulla di tangibile come una casa propria dove vivere con la propria famiglia, ma soprattutto un nulla interiore riempito solo di paure per le continue scosse e da tanta incertezza per il proprio futuro.
Ma per molti credo che sia stata una svolta di vita, comprendendo che i veri valori su cui basare la propria esistenza non devono essere solo quelli materiali, ma anche quelli dei sentimenti, dell'aiuto reciproco, della condivisione del poco che si ha. L'egoismo in questi momenti non serviva a nessuno, nulla c'era da accaparrarsi prima degli altri. Solo la solidarietà poteva aiutare sfollati e soccorritori a vivere meglio questi momenti.
Penso che abbiate ora capito cosa intendevo per “il mio terremoto”: una grande esperienza “professionale” che mi ha dato la possibilità di mettere in pratica preparazione e insegnamenti che ho ricevuto in questi anni ma anche, e forse soprattutto, un'esperienza di vita che mi ha cambiato, accresciuto nelle mie convinzioni e che mi ha fatto conoscere persone eccezionali, sia tra i volontari sia fra i terremotati.
Ora torniamo alla nostra “quotidianità”, consapevoli che comunque, sempre ed ovunque, nella nostra famiglia come nella nostra comunità, qualcuno potrebbe avere bisogno del nostro aiuto, del nostro sorriso e di un nostro abbraccio. Noi che abbiamo scelto di essere volontari crediamo in questo.
Maurizio Stradiotti

Scrivere qualcosa su di un'esperienza così forte e carica di significati, sentimenti ed emozioni come quella vissuta in Abruzzo non è per niente facile. Ogni parola si utilizzi può suonare riduttiva per chi l'esperienza l'ha vissuta sulle proprie spalle o addirittura retorica per chi non ha avuto la “fortuna” di poter aiutare direttamente sul campo le persone coinvolte... per chiunque abbia avuto quest’onore il rivedere l'inserto fotografico che abbiamo realizzato si trasforma in una galleria di ricordi ancora vivi, il vedere in un servizio al telegiornale un mix di notizie assurde e scontate in rabbia e disappunto, il racconto dei volontari che tornano dalla settimana di lavoro al campo si tramuta nella condivisione di sentimenti comuni e nell'occasione per chiedere notizie sui residenti con cui hai legato di più, le parole scritte da Maurizio in brividi lungo la schiena.
Il nostro personale compito nei turni a “Monticchio 2” è stato quello di gestire la segreteria del campo di accoglienza. Segreteria che non è solo radio, telefono e computer per comunicare con le varie strutture connesse con i bisogni del campo e con il coordinamento dell'emergenza, ma che è un qualcosa di molto più complesso e per molti versi delicato. E se dobbiamo essere sinceri questo è stato una sorpresa anche per noi! Abbiamo imparato che la segreteria è il “cuore” del campo, un vero punto di riferimento e di ritrovo per i volontari e i residenti. Da questo gazebo posto all'ingresso del campo – che è stato, per chi come noi vi ha trascorso dentro intere giornate, una serra a giugno e una cella frigorifera nei mesi autunnali – si pianificavano i turni di lavoro e si organizzavano giorno per giorno le varie attività al campo, supportando il Capo Campo e i responsabili dei vari settori: comunicazioni ai residenti, logistica, cucina, carraia, pulizia, magazzini... Qui gli ospiti giungevano con le problematiche più varie: per informarsi sull'agibilità della propria abitazione, per segnalare lavori di manutenzione per la propria tenda o per il campo, per lamentarsi di qualche servizio mancante, qualche disservizio o “semplicemente” di dissapori con i vicini di tenda.
Alla fine di novembre tutti i campi sono stati chiusi e al termine di ogni esperienza viene naturale guardarsi indietro. Se ci voltiamo vediamo un gruppo che è cresciuto e si è unito ancora di più al suo interno e con gli altri gruppi con cui ha lavorato nel corso dei vari turni. Senza dubbio questa tragedia è stata un'esperienza importante e indelebile per moltissimi volontari. Prima di tutto dal punto di vista umano. Anche per chi era alla prima emergenza i turni settimanali volavano e si concludevano sempre col desiderio di poter tornare al più presto tra quella gente che in te aveva riposto fiducia, speranza, gratitudine. Dal punto di vista dello spirito di gruppo la convivenza forzata ha fatto conoscere meglio persone che prima si incontravano solo in giornata in occasione di esercitazioni o manifestazioni di Protezione Civile. Ha fatto crescere tutti caratterialmente, perché se lo stare per una settimana tra persone con caratteri, abitudini ed età diverse è difficile, è altrettanto doveroso non dimenticarsi di essere lì per lo stesso motivo e sforzarsi per trovare un punto di incontro.
Molti residenti sono stati di grande esempio per noi: con la loro forza nel ricominciare senza piangersi addosso, con la voglia di tornare alla normalità nonostante le scosse continue e incessanti, con la grande pazienza per incomprensioni e disagi dovuti al cambio turno dei volontari ogni fine settimana, con sorrisi e saluti cordiali a qualsiasi ora del giorno, con qualche lacrima alla partenza, con l'invidiabile dignità nei loro racconti.
Il sisma ha modificato tante cose. Ha distrutto case, ha reso incerto il futuro di molte persone, ha portato morte e dolore. Ha cambiato le persone che l'hanno subito in prima persona e chi, come noi, ha condiviso con loro questo momento come volontario.
Roberta Guerra e Umberto Bresciani
LaPenna2009_4_5.pdf

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