sabato 8 dicembre 2001

Una storia del Po

Nel 1996 vivevo e lavoravo a Milano. Nell’ottobre dello stesso anno sono andato in pensione e sono fuggito dalla pazza folla e dalla lucida follia della grande metropoli. Piano piano ho scoperto Martignana, i suoi tempi, la sua gente e il suo fiume. La primavera precedente, come si dice qui, era uscito il Po, e ricordo la telefonata del fratello di mia moglie “Lina, vieni a casa, è uscito il Po”. Io da buon milanese, lontano da questa realtà dicevo “Cosa fai là, tieni fermo il fiume?”
La domenica successiva sono venuto a Martignana e mi sono reso conto del grande pericolo che si correva. A mezzanotte con moglie e cani sono andato sull’argine. Una scena angosciante e affascinante allo stesso tempo. Un vento strano, alberi sradicati che scivolano silenziosi sull’acqua, tetti di cascinali che spuntano spettrali. Dieci metri di argine e la volontà di tanti piccoli uomini che vanno su e giù con le lampade per contrastare la rabbia del grande fiume. Mi è tornata in mente la telefonata “Lina, vieni a casa”. Una volontà in più da porre contro il Po.
17 ottobre 2000. Il grande fiume è arrabbiato con noi. È offeso e vuole le nostre scuse. In tre giorni è uscito tre volte. Martignana chiama i suoi volontari. Questa volta ci sono anch’io, ormai integrato nel contesto. Imparo parole nuove, esondazione, idrometro, golena. Si è rotto l’argine di…, si è allagata la cascina di…, nomi che non conosco. Il turno di giorno consiste nel controllare che non si formino fontanazzi. Ci sono delle sortie ma quelle non sono pericolose. I prati intorno a San Serafino sono allagati e la chiesetta sembra un isolotto. Il turno di notte è più angosciante ma più, se posso dirlo, romantico. Siamo sulla discesa della discarica, c’è un buio pesto e noi con un cavalletto che spostiamo ogni mezz’ora controlliamo l’alzarsi del fiume. Arriva un giovanotto con un gippone e ci porta i dati idrometrici della giornata. Mezzanotte m. 7,97; una m. 8; due m. 7,99; tre m. 8,01. Come se il fiume respirasse prima di ritirarsi e darci il suo perdono. C’è l’anziano in bicicletta che viene a trovarci. Appoggia il piede a terra, il sedere sulla sella, le braccia incrociate sul manubrio. “Mi ricordo nel ‘51… Si, c’ero anch’io… Il mio povero papà mi raccontava…”
Tante piccole storie del Po. Le lampade creano ombre strane. Mi sono venuti in mente i film di Don Camillo. Poi due a due riprendiamo i nostri giri di ronda. Rumori, ombre, una sciabolata di luce sull’acqua. Una roulotte che galleggia in senso inverso al corso del fiume. Fenomeno strano. Una scia nell’acqua, è una nutria grossa come un cane. Dei guaiti, sono cagnolini abbandonati in una cascina allagata che il giorno dopo in barca siamo andati a salvare. Si torna. La nostra postazione è lo scuolabus del paese. Un panino, un bicchiere di vino, chiacchiere di paese, pettegolezzi, si parla di donne, si sorride, ma soprattutto si parla piano per non disturbare il grande fiume. Di guardia al cavalletto ti accorgi che quando l’acqua sale i vermi scappano, nel loro piccolo anche loro ci tengono a vivere, ma c’è qualcuno che li raccoglie in una bottiglia per andare a pescare. M. 8,01, il massimo mai raggiunto.
Il fiume comincia a calare. Albeggia. Comincia un nuovo giorno. Passa il giovanotto con il gippone. Tutti a casa! È finita l’emergenza. Da monte a valle fino al mare ogni cento metri c’è una storia. Storie che il fiume raccoglie per ascoltarle mentre riposa, fino a che non lo facciamo arrabbiare di nuovo.
Il Po ci ha avvisato: “Vi voglio bene, ma non fatemi più del male, potrei non potervi perdonare”. E qui nascono “Le Aquile Oglio-Po”. Le prime divise, la pulizia degli argini, la sorveglianza in varie manifestazioni, il corso di pronto soccorso, la tinteggiatura dell’asilo, l’esercitazione con le radio, i nuovi giacconi. Tutto ciò per far capire all’amico Po che anche noi gli vogliamo bene e che cercheremo di impedire che lo offendano.
Ma questa è un’altra storia...
Mariano Marcheselli

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