In quest’epoca in cui spesso indagini e sondaggi diventano – discutibilmente! – il criterio di giudizio della realtà, vogliamo anche noi immaginare alcune domande da rivolgere ai numerosi (?!) uomini e donne che si impegnano nelle svariate forme di volontariato che oggi la nostra società propone un po’ in tutti gli ambiti della vita delle persone.
La domanda più spontanea e immediata che un immaginario intervistatore o un anonimo questionario potrebbe proporre è “PERCHÉ hai scelto di fare del volontariato e qual è il motivo di questo o di quell’altro particolare ambito di impegno?”, cercando di sapere non tanto notizie contingenti o curiose – tante volte il “perché” immediato è l’invito di un amico o una situazione fortuita – ma piuttosto le motivazioni di fondo, ovvero gli obiettivi che una persona si prefigge di raggiungere attraverso il proprio impegno di servizio. In altre parole, è immaginabile che al di là delle esercitazioni per affrontare eventuali calamità, o del servizio agli anziani, o dell’animazione dei ragazzi, o della salvaguardia dell’ambiente, per fare degli esempi, una persona abbia ben chiaro perché lo fa: diversamente, se le motivazioni mancano o sono scarse o di scarso valore, anche le iniziative più belle si afflosciano, e i loro sostenitori vengono sempre meno.
Un secondo interrogativo della nostra immaginaria intervista potrebbe riguardare il “MODO” in cui viene svolto il servizio: diverso è l’atteggiamento di chi si dedica al volontariato “quando non ha niente da fare e purché non sia troppo gravoso” (escludiamo a priori chi lo fa per secondi fini o per vanità) da chi, pur dando la giusta priorità ai propri impegni, mette in gioco tutta la propria disponibilità e capacità nel servizio che sceglie, sapendo che in gioco non sono tanto le “cose” da fare ma piuttosto le persone – prevalentemente deboli e in difficoltà – che da queste “cose” attendono aiuto e conforto. Ecco perché il volontariato deve essere innanzitutto una risorsa e una provocazione per il proprio territorio!
Dalle due domande sul “perché” e sul “come” ne scaturisce una terza che va a toccare una aspetto indispensabile di ogni tipo di esperienza di volontariato: “quanto tempo e quante energie vengono dedicate alla FORMAZIONE?”, senza confondere formazione con istruzione: mi istruisco sulle cose da fare ma mi “formo” sul modo di essere...
Certamente ad un volontario si chiede competenza, ma anche e soprattutto uno “stile” che dipende dai famosi obiettivi sopraddetti e dalla già citata attenzione al territorio e alle persone.
Agli scolari si insegna che prima di fare i compiti è necessario studiare la lezione, se si vuole imparare qualcosa, ovvero, si vede subito se dietro un esercizio scolastico non c’è l’adeguata preparazione: quando si diventa grandi, ci si accorge che non c’è più ovviamente la differenza tra “compito e lezione” ma è pur sempre incombente il rischio di separare troppo la “teoria” dalla “pratica”, all’insegna dello slogan: “l’importante è darsi da fare” che per qualche volontario maldestro diventa un piccolo motivo di gloria e la giustificazione della superficialità e del pressappochismo.
“Il bene va fatto bene”, ha detto qualcuno, ed è necessario quindi il tempo e lo spazio per un’adeguata preparazione oltre che l’umiltà dell’apprendistato e l’intelligenza di un continuo aggiornamento, senza protagonismi o improvvisazioni inutili, dannose e grottesche.
E, se vogliamo cullarci nelle citazioni, “nemo dat quod non habet”, dicevano i nostri padri latini: solo un’adeguata formazione mi permette di possedere “qualcosa” di valido e prezioso da offrire al prossimo.
È senz’ombra di dubbio su questo aspetto formativo che poggia la serietà e la credibilità del volontariato oggi: non un’“armata brancaleone” che supplisce alla bell’e meglio o “alla Rambo” e quando ha tempo alle inadempienze delle istituzioni, ma associazioni di giovani e adulti motivati, competenti, gratuitamente disposti alla collaborazione con le istituzioni e le altre risorse del territorio per una sempre maggiore attenzione alle fasce più deboli e per la crescita della comunità.
Almeno altre due domande sorgerebbero spontanee e urgenti, ma le trasformiamo in augurio: come realizzare una più intensa e assai necessaria sinergia tra le notevoli risorse di volontariato presenti a Martignana? E non sarà questo il modo per invogliare qualcuno di nuovo a mettersi in gioco?
La domanda più spontanea e immediata che un immaginario intervistatore o un anonimo questionario potrebbe proporre è “PERCHÉ hai scelto di fare del volontariato e qual è il motivo di questo o di quell’altro particolare ambito di impegno?”, cercando di sapere non tanto notizie contingenti o curiose – tante volte il “perché” immediato è l’invito di un amico o una situazione fortuita – ma piuttosto le motivazioni di fondo, ovvero gli obiettivi che una persona si prefigge di raggiungere attraverso il proprio impegno di servizio. In altre parole, è immaginabile che al di là delle esercitazioni per affrontare eventuali calamità, o del servizio agli anziani, o dell’animazione dei ragazzi, o della salvaguardia dell’ambiente, per fare degli esempi, una persona abbia ben chiaro perché lo fa: diversamente, se le motivazioni mancano o sono scarse o di scarso valore, anche le iniziative più belle si afflosciano, e i loro sostenitori vengono sempre meno.
Un secondo interrogativo della nostra immaginaria intervista potrebbe riguardare il “MODO” in cui viene svolto il servizio: diverso è l’atteggiamento di chi si dedica al volontariato “quando non ha niente da fare e purché non sia troppo gravoso” (escludiamo a priori chi lo fa per secondi fini o per vanità) da chi, pur dando la giusta priorità ai propri impegni, mette in gioco tutta la propria disponibilità e capacità nel servizio che sceglie, sapendo che in gioco non sono tanto le “cose” da fare ma piuttosto le persone – prevalentemente deboli e in difficoltà – che da queste “cose” attendono aiuto e conforto. Ecco perché il volontariato deve essere innanzitutto una risorsa e una provocazione per il proprio territorio!
Dalle due domande sul “perché” e sul “come” ne scaturisce una terza che va a toccare una aspetto indispensabile di ogni tipo di esperienza di volontariato: “quanto tempo e quante energie vengono dedicate alla FORMAZIONE?”, senza confondere formazione con istruzione: mi istruisco sulle cose da fare ma mi “formo” sul modo di essere...
Certamente ad un volontario si chiede competenza, ma anche e soprattutto uno “stile” che dipende dai famosi obiettivi sopraddetti e dalla già citata attenzione al territorio e alle persone.
Agli scolari si insegna che prima di fare i compiti è necessario studiare la lezione, se si vuole imparare qualcosa, ovvero, si vede subito se dietro un esercizio scolastico non c’è l’adeguata preparazione: quando si diventa grandi, ci si accorge che non c’è più ovviamente la differenza tra “compito e lezione” ma è pur sempre incombente il rischio di separare troppo la “teoria” dalla “pratica”, all’insegna dello slogan: “l’importante è darsi da fare” che per qualche volontario maldestro diventa un piccolo motivo di gloria e la giustificazione della superficialità e del pressappochismo.
“Il bene va fatto bene”, ha detto qualcuno, ed è necessario quindi il tempo e lo spazio per un’adeguata preparazione oltre che l’umiltà dell’apprendistato e l’intelligenza di un continuo aggiornamento, senza protagonismi o improvvisazioni inutili, dannose e grottesche.
E, se vogliamo cullarci nelle citazioni, “nemo dat quod non habet”, dicevano i nostri padri latini: solo un’adeguata formazione mi permette di possedere “qualcosa” di valido e prezioso da offrire al prossimo.
È senz’ombra di dubbio su questo aspetto formativo che poggia la serietà e la credibilità del volontariato oggi: non un’“armata brancaleone” che supplisce alla bell’e meglio o “alla Rambo” e quando ha tempo alle inadempienze delle istituzioni, ma associazioni di giovani e adulti motivati, competenti, gratuitamente disposti alla collaborazione con le istituzioni e le altre risorse del territorio per una sempre maggiore attenzione alle fasce più deboli e per la crescita della comunità.
Almeno altre due domande sorgerebbero spontanee e urgenti, ma le trasformiamo in augurio: come realizzare una più intensa e assai necessaria sinergia tra le notevoli risorse di volontariato presenti a Martignana? E non sarà questo il modo per invogliare qualcuno di nuovo a mettersi in gioco?
Don Luigi
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