lunedì 18 dicembre 2006

Qualche domanda per (farsi) capire...

ciaoIl capo del Dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, durante l'incontro quaresimale che ha tenuto nella chiesa di Gabbioneta Binanuova lo scorso 10 marzo
In quest’epoca in cui spesso indagini e sondaggi diventano – discutibilmente! – il criterio di giudizio della realtà, vogliamo anche noi immaginare alcune domande da rivolgere ai numerosi (?!) uomini e donne che si impegnano nelle svariate forme di volontariato che oggi la nostra società propone un po’ in tutti gli ambiti della vita delle persone.
La domanda più spontanea e immediata che un immaginario intervistatore o un anonimo questionario potrebbe proporre è “PERCHÉ hai scelto di fare del volontariato e qual è il motivo di questo o di quell’altro particolare ambito di impegno?”, cercando di sapere non tanto notizie contingenti o curiose – tante volte il “perché” immediato è l’invito di un amico o una situazione fortuita – ma piuttosto le motivazioni di fondo, ovvero gli obiettivi che una persona si prefigge di raggiungere attraverso il proprio impegno di servizio. In altre parole, è immaginabile che al di là delle esercitazioni per affrontare eventuali calamità, o del servizio agli anziani, o dell’animazione dei ragazzi, o della salvaguardia dell’ambiente, per fare degli esempi, una persona abbia ben chiaro perché lo fa: diversamente, se le motivazioni mancano o sono scarse o di scarso valore, anche le iniziative più belle si afflosciano, e i loro sostenitori vengono sempre meno.
Un secondo interrogativo della nostra immaginaria intervista potrebbe riguardare il “MODO” in cui viene svolto il servizio: diverso è l’atteggiamento di chi si dedica al volontariato “quando non ha niente da fare e purché non sia troppo gravoso” (escludiamo a priori chi lo fa per secondi fini o per vanità) da chi, pur dando la giusta priorità ai propri impegni, mette in gioco tutta la propria disponibilità e capacità nel servizio che sceglie, sapendo che in gioco non sono tanto le “cose” da fare ma piuttosto le persone – prevalentemente deboli e in difficoltà – che da queste “cose” attendono aiuto e conforto. Ecco perché il volontariato deve essere innanzitutto una risorsa e una provocazione per il proprio territorio!
Dalle due domande sul “perché” e sul “come” ne scaturisce una terza che va a toccare una aspetto indispensabile di ogni tipo di esperienza di volontariato: “quanto tempo e quante energie vengono dedicate alla FORMAZIONE?”, senza confondere formazione con istruzione: mi istruisco sulle cose da fare ma mi “formo” sul modo di essere...
Certamente ad un volontario si chiede competenza, ma anche e soprattutto uno “stile” che dipende dai famosi obiettivi sopraddetti e dalla già citata attenzione al territorio e alle persone.
Agli scolari si insegna che prima di fare i compiti è necessario studiare la lezione, se si vuole imparare qualcosa, ovvero, si vede subito se dietro un esercizio scolastico non c’è l’adeguata preparazione: quando si diventa grandi, ci si accorge che non c’è più ovviamente la differenza tra “compito e lezione” ma è pur sempre incombente il rischio di separare troppo la “teoria” dalla “pratica”, all’insegna dello slogan: “l’importante è darsi da fare” che per qualche volontario maldestro diventa un piccolo motivo di gloria e la giustificazione della superficialità e del pressappochismo.
“Il bene va fatto bene”, ha detto qualcuno, ed è necessario quindi il tempo e lo spazio per un’adeguata preparazione oltre che l’umiltà dell’apprendistato e l’intelligenza di un continuo aggiornamento, senza protagonismi o improvvisazioni inutili, dannose e grottesche.
E, se vogliamo cullarci nelle citazioni, “nemo dat quod non habet”, dicevano i nostri padri latini: solo un’adeguata formazione mi permette di possedere “qualcosa” di valido e prezioso da offrire al prossimo.
È senz’ombra di dubbio su questo aspetto formativo che poggia la serietà e la credibilità del volontariato oggi: non un’“armata brancaleone” che supplisce alla bell’e meglio o “alla Rambo” e quando ha tempo alle inadempienze delle istituzioni, ma associazioni di giovani e adulti motivati, competenti, gratuitamente disposti alla collaborazione con le istituzioni e le altre risorse del territorio per una sempre maggiore attenzione alle fasce più deboli e per la crescita della comunità.
Almeno altre due domande sorgerebbero spontanee e urgenti, ma le trasformiamo in augurio: come realizzare una più intensa e assai necessaria sinergia tra le notevoli risorse di volontariato presenti a Martignana? E non sarà questo il modo per invogliare qualcuno di nuovo a mettersi in gioco?

Don Luigi

LaPenna2006_7.pdf

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